
Dopo la chiusura definitiva del ramo edile di Fip industriale, il fallimento - sancito oggi dal tribunale di Padova - di Coge Mantovani.
Una grande esperienza industriale, quella intrapresa dalla famiglia Chiarotto, che si chiude nel modo peggiore, senza rendere neppure merito alla sua storia. I successi che in passato questo gruppo imprenditoriale ha indubbiamente registrato sono certamente da attribuire alle intuizioni e alla tenacia di Romeo Chiarotto, ma sono state contemporaneamente frutto dell'impegno, della passione, dell'intelligenza dei lavoratori che vi hanno operato. Un autentico patrimonio umano e professionale sta dunque per essere disperso. Un patrimonio che, negli ultimi anni, è stato considerato semplicemente un peso di cui liberarsi.
Questo è accaduto sia nel caso del ramo edile di Fip industriale, sia nel caso di Coge Mantovani. A dimostrarlo, tra le altre cose, è la circostanza che proprio mentre Coge Mantovani fallisce, Mantovani è alle prese con il concordato, alleggerita appunto del fardello rappresentato da decine di dipendenti che non ricevono lo stipendio da mesi e che rimarranno senza occupazione e senza i mezzi per sostenere le proprie famiglie.
Chi oggi si sorprende dell'inaffidabilità di chi ha costituito Coge Mantovani ci lascia sbigottiti. I curriculum dei protagonisti del fallimento erano noti ai non addetti ai lavori, risulta davvero incredibile che fossero ignorati da protagonisti di primissimo piano della scena economica regionale e nazionale.
E' forte da più parti la tentazione di liquidare l'intera questione attribuendo ogni responsabilità alla crisi economica iniziata nel 2008 e tuttora in corso, con l'edilizia a pagare il prezzo più salato. Ma al netto della “crisi morale”, che pure un suo peso in questa vicenda l'ha indubbiamente avuto, qui siamo di fronte a una vera e propria crisi di sistema, di un sistema che non ha saputo cambiare mentre intorno a sé tutto mutava: il mercato, la demografia, la finanza, gli scambi commerciali, gli equilibri nazionali e internazionali.
La stessa normativa che ci dota degli strumenti da attivare per soccorrere le aziende in difficoltà, ideati innanzitutto per proteggere i lavoratori e per garantire la continuità d'impresa, non solo appare sempre più inadeguata, ma viene ormai puntualmente declinata a favore degli interessi di pochissimi, abbandonando al loro destino chi per vivere ha bisogno di lavorare.
Ci sono tante cose da cambiare, qualcuno potrebbe pensare troppe. Fatto sta che continuando a fare le stesse cose, i risultati resteranno i medesimi. Anche su questo non ci piove. Quando Fip e Mantovani hanno iniziato la loro strada, imprenditori coraggiosi hanno saputo immaginare il futuro e hanno incrociato lungo la via i lavoratori che quel futuro l'hanno reso possibile. Poi il lavoro ha perso centralità a favore del profitto ad ogni costo, nella testa di quegli stessi imprenditori. E siamo dove siamo.
Proseguire nella stessa direzione vuol dire finire in un burrone, dove però non cadranno tutti, ma proprio e solo chi non ha nessuna responsabilità della deriva che il nostro Paese, e non solo il nostro, ha imboccato senza la capacità e la lungimiranza di fermarsi finché si è in tempo. Ammesso che si sia ancora in tempo”.
Dario Verdicchio (segretario generale Fillea Cgil Padova)